Vision.biz rincontra Sea2see per fare il punto sulla sostenibilità nel mondo eyewear

A Silmo Paris, abbiamo ritrovato con piacere un “vecchio” amico di Vision.biz: Francois van den Abeele, founder e CEO di Sea2see Eyewear, l’unica azienda del settore a essere totalmente a integrazione verticale: dalla raccolta dei rifiuti alla loro trasformazione in materia grezza, fino alla lavorazione del prodotto finale.

Nel progetto di Sea2see noi di Vision.biz abbiamo creduto fin dall’inizio, dedicando al suo fondatore un’intervista esclusiva sul numero di Luglio/Agosto 2020 e coinvolgendolo nella nostra inchiesta sulla sostenibilità nel mondo dell’occhialeria, pubblicata sul numero di Febbraio/Marzo 2021.

Vision.biz – Numero di Luglio/Agosto 2020

 

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Vision.biz- Numero di Febbraio/Marzo 2021

Oggi Sea2see ha fatto passi da gigante, ampliando le proprie collezioni e trovando grande riscontro da parte del mercato nei confronti del suo approccio profondamente eco-oriented, etico e sociale. La fiera parigina è stata quindi un’occasione per ricordare la filosofia green di Sea2see e fare il punto sulle nuove sfide sostenibili nel settore ottico.

La lavorazione del prodotto finale di Sea2see avviene in Italia, perché hai scelto il nostro Paese?
“Perché lo stile è italiano, se si parla di occhiali il Made in italy è un punto di riferimento mondiale, come per la moda e il cibo. Quando pensi agli occhiali e alla moda pensi all’Italia. È come per i miei orologi, li faccio fare in Svizzera perchè quando pensi a un orologio inevitabilmente pensi alla Svizzera”.

Facciamo un passo indietro per ricordare la tua storia.
Quando nel 2015 sono arrivato in questo settore con le mie idee, all’epoca considerate un po’ folli, ho mandato delle mail ai fabbricanti dicendo ‘voglio fare occhiali con la plastica recuperata dal mare’ e CIDI Eyewear è stato il primo produttore a darmi retta. La mia storia però inizia in Africa, dove sono cresciuto. Sono sempre stato sensibile alle tematiche di raccolta dei rifiuti, seguivo i grandi progetti di “Ocean Cleanup” ovvero di recupero della plastica nel Pacifico. Tornando da una conferenza a Bruxelles, comprai il mio primo paio di occhiali e mi resi conto che erano fatti di plastica! Avevo già un progetto con per realizzare delle tavole da surf con filo riciclato, ma tutta una serie di circostanze mi ha fatto riflettere e mi ha spinto a intraprendere la strada dell’eyewear. Ho cominciato a osservare che cosa si stava facendo di durevole nel mondo dell’ottica dal punto di vista del riciclo e della sostenibilità, perciò mi sono detto che forse c’era qualcosa di interessante da creare in questo settore, che all’epoca era ancora abbastanza vergine sotto questo profilo.  Mi sono messo in contatto con le società di gestione dei rifiuti in Spagna per trovare accordi con le autorità municipali e portuali e con le organizzazioni che controllano i pescatori. E’ stato un po’ complicato”.

Per raccogliere tutte queste reti bisogna avere dei permessi?
“Ho messo in piedi una struttura, ho fatto il giro dell’Africa e ho parlato con chi gestisce i porti e i pescatori, poi abbiamo cominciato a raccogliere queste reti che in alcuni Paesi dell’Africa sono proibite. Una volta utilizzate per la pesca, vengono abbandonate, perciò il fondo del mare è pieno di plastica. Le reti vanno pulite ed è un’operazione molto complicata. Abbiamo creato una nostra Fondazione apposita per farlo. Prima puliamo tutto in Africa e poi ricicliamo in Spagna e in Portogallo, per creare le piccole biglie di materiale che vengono spedite in Italia per essere lavorate. Non salverò gli oceani, ma almeno posso dare il mio contributo. Vado nelle varie comunità e poi negozio con loro e acquisto. Così si crea la coscienza, si genera una nuova fonte di guadagno per la popolazione locale. Stiamo per avviare questa attività anche nelle Filippine”.

E per quanto riguarda lo studio dei materiali?
“Mi sono reso conto che analizzando le plastiche nel mare (ce ne sono molte) bisognava identificare il tipo di polimero adatto per produrre degli occhiali di qualità. Le reti da pesca, in particolare, sono uno i rifiuti più presenti perché molto resistenti. In Europa perlopiù vanno a finire nelle discariche, mentre in Africa rimangono in mare o si depositano sulle spiagge. Dunque, ho cominciato con una società che si occupa del recupero dei rifiuti e, nello stesso tempo mi sono recato a MIDO 2015 per parlare con i fabbricanti di occhiali. Purtroppo molti di loro mi dissero che il mio progetto non era realizzabile. Io però sapevo che, identificando il polimero giusto e riciclandolo correttamente, si poteva ottenere una materia prima utilizzabile. Ci voleva anche un fabbricante che fosse disposto a provare. Ne ho contattati tanti, ma ognuno aveva un motivo per rifiutare, fino a quando ho incontrato CIDI Eyewear a MIDO 2016. Loro fanno occhiali da più di 40 anni e si sono buttati con me in questa avventura.  In principio abbiamo realizzato 3 modelli da sole in 6 colori. Poi abbiamo trovato un primo distributore in Belgio, in seguito ho preso un primo agente e abbiamo partecipato al primo Silmo. Man mano la collezione si è ingrandita e ora abbiamo circa 3800 ottici partner principalmente in Europa e un centinaio in Canada, che è un mercato in fase di espansione, e speriamo anche negli Stati Uniti. In Italia ne abbiamo solo un paio, di cui uno fedele dall’inizio”.

Come mai così pochi ottici in Italia distribuisco Sea2see?
“Perché fino a 4/5 anni fa tutto ciò che era sostenibile per gli italiani non era interessante. L’italiano ama i marchi firmati, ma ora le cose stanno cambiando. Dato che eravamo una piccola struttura, io all’inizio ho rivolto più attenzione a quei mercati che chiedevano i miei prodotti: la Germania per esempio. Ora probabilmente l’Italia è pronta”.

Indipendenti e catene: come gestite questi canali di vendita?
“Il nostro vantaggio è che noi siamo forti perché siamo lì dall’inizio, raccogliamo il materiale; non facciamo solo occhiali e orologi, siamo là per la causa. Siamo nati nella causa… Oggi, in Francia abbiamo degli accordi con Optique 2000. Creiamo delle collezioni specifiche per loro, sono linee esclusive che vendiamo soltanto nei loro 1500 negozi in tutta la Francia. In Scandinavia idem, lavoriamo per Synsam (500 negozi) e produciamo per loro una collezione esclusiva. Così collaboro in modo diverso sia con gli indipendenti sia con le catene. Trovo che sia importante, oggi ci sono tanti marchi ecosostenibili ma noi abbiamo un plus, produciamo in Italia perché gli italiani sanno fare gli occhiali”.

Avete ricevuto anche dei premi?
“Questa è stata Montatura dell’anno (vedi foto) in Inghilterra, ed eravamo in competizione con molti altri modelli. Ultraleggera, non lascia segni, pesa solo 11 grammi. Sono montature realizzate completamente a mano con grande perizia”.

Un messaggio per sensibilizzare gli Italiani…
“Non so se è un messaggio: compri un occhiale See2Sea e raccogli un chilo di plastica e lo ricicli, è un gesto ed è facile. Compri un orologio See2Sea, raccogli un chilo di plastica e paghi gli studi di un bambino, che è il progetto che stiamo portando avanti con i nostri orologi Time4time“.

Parlaci di questo nuovo progetto e di come si lega al mondo dell’ottica.
“Si tratta di orologi Swiss Made, water-resistant, anti scratch&fire. L’idea è di avere dei prodotti per la grande distribuzione che possano far sì che il consumatore prenda coscienza, per questo motivo abbiamo associato agli occhiali gli orologi. Avevo visto un documentario della CNN che parlava della schiavitù dei bambini venduti per lavorare nella pesca in Ghana, allora mi sono messo in contatto con i documentaristi e abbiamo firmato un accordo. La campagna si chiama: Time4time: compri del ‘tempo’ e doni del tempo per l’istruzione dei bambini. Ci sono tantissimi ottici che sono interessati a questo nuovo prodotto per rinforzare il marchio Sea2see”.

Ci sarai a MIDO?
“Certo, non potrei mai mancare! E sarò presente anche a Opti!”.

Hai altri progetti a livello di produzione o per il momento consolidi?
“Consolidiamo, abbiamo lanciato la collezione bambini, le clip che vanno benissimo e abbiamo in corso delle trattative per delle collaborazioni con marchi molto conosciuti. Inoltre ci sono alcuni big che vogliono acquistare la materia prima. Ma io non la vendo. In Scandinavia, per esempio, sono stati intelligenti perché volevano comprare il materiale e quando gli ho detto che non lo vendevo mi hanno proposto di avviare una collaborazione, perché capiscono il beneficio di sostenere le start up“.